lunedì 20 agosto 2018

Lectio biblica su Genesi 1,26-28

MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
 Lectio biblica su Genesi 1,26-28 
Convegno Nazionale CEI Pastorale Familiare 
Nocera Umbra, 26 aprile 2014 
 Mario Russotto 
Vescovo di Caltanissetta 

Ho scelto di riflettere e meditare insieme a voi su un testo a tutti ben noto e, quindi, so di non avere nulla di nuovo da proporvi. Ma questo è il testo che dà il titolo al nostro convegno e dunque può essere utile tornare a farci illuminare da questi versetti del libro di Genesi. 

1. Maschio e femmina 

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gen 1,26-28). 

Genesi 1,26 recita: «Facciamo adam a nostra immagine e a nostra somiglianza ... e domini sui pesci del mare». Traducendo in italiano il termine Adam con “uomo”, il traduttore ha dovuto mettere il verbo “dominare” al singolare, mentre in ebraico è plurale. E questo perché adam in ebraico è un singolare collettivo, che va meglio tradotto con "umanità"; e questa umanità è duale, è maschio e femmina. E allora dobbiamo letteralmente tradurre così: «Facciamo umanità a nostra immagine e a nostra somiglianza… e dominino…». 

In Genesi 1,27 leggiamo: «Dio creò Adam a sua immagine; a immagine di Dio creò adam, maschio e femmina li creò». Secondo questo primo racconto di Genesi, l’umanità maschio e femmina è il culmine e il capolavoro della creazione, e riceve da Dio il compito di "dominare", cioè di portare a perfezione il creato. Senza umanità maschio e femmina non c’è “cosmo”, non c’è creazione ordinata, perché adam maschio e femmina, che odora di terra e di rosso sangue è “infuocato” (è il significato ebraico di ish-ishah), è custode e liturgo del creato. 

Adam maschio e femmina è selem e demut, che noi traduciamo con “immagine e somiglianza”. Selem e demut in ebraico indicano qualcosa di molto simile all'originale e, nello stesso tempo, assai distante e differente dall’originale. Pensiamo, ad esempio, alla statua del re posta al centro della città perché lo rappresenti. La statua richiama l’immagine del re, ma non è il re! È un po’ come una mia foto: io la guardo e dico: «Questo sono io», ma non intendo dire che io sono un pezzo di carta. Quindi in adam maschio e femmina c’è qualcosa di molto simile a Dio Creatore che, nello stesso tempo, è distinzione e differenza. 

Adam è maschio e femmina, in ebraico zakar e neke bah, termini che letteralmente andrebbero tradotti con “puntuto e svuotata”, oppure “pene e vagina”. L’umanità, dunque, è immagine di Dio in quanto duale. E questa dualità si evidenzia in quanto adam-umanità è puntuto e svuotata. Zakar e neke bah si riferiscono ai genitali che costituiscono e distinguono adam-umanità in maschio e femmina. 

2. A immagine e somiglianza 

Rileggiamo Genesi 1,27: «Dio creò adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Nel progetto di Dio adam-umanità non è pensata a sé stante, chiusa nella solitarietà della mascolinità o della femminilità. Difatti anche Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem ha scritto: «L’uomo in sé non è l’umanità perché l’uomo si costituisce tale solo dinanzi al “tu” della donna, che è l’altro “io” nella comune umanità» (MD, n. 6). Quindi nessun essere umano in sé è “umanità” se non nella relazione con l’altro - da sé: questa è la vocazione originaria dell’uomo e della donna. Pertanto, possiamo sinteticamente affermare che l’identità e il fine di adam maschio e femmina è l’amore come relazione.

Sì, la vocazione originaria e originante, inscritta da Dio in adam maschio e femmina, è la relazione, cioè l’essere dono per l’altro/a da sé. E precisamente: il “puntuto” per la “svuotata” e viceversa. Essere immagine di Dio è un dono esclusivo del Creatore all’adam maschio e femmina. Nessun altro essere nel cosmo è creato a immagine di Dio. Ciò che rende adam immagine di Dio non è l’intelligenza, né l’anima, ma -a relazione nella distinzione maschio e femmina, cioè l’alterità relazionale nella comune umanità, quale compatibilità accogliente nell’irriducibile incompatibilità di due differenti unicità. La Bibbia, dunque, con immagini semplici ci dice che se noi adam maschio e femmina possiamo vivere il dono di essere immagine di Dio, è perché siamo fisicamente complementari nell’irriducibile incompatibilità. 

Insegnava ancora Giovanni Paolo II: «Nell'unità dei due l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere "uno accanto all'altra" oppure "insieme", ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altra... Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale» (MD, n. 7). Ma mi permetto di affermare che alla luce della pienezza della Rivelazione in Cristo Gesù c’è molto di più. L’Antico Testamento e lo stesso Cantico dei Cantici sono superati o, meglio, portati a pienezza. Essere l’uno per l’altra nel contratto d’amore di reciprocità cede il passo all’essere l’uno nell’altra nel contatto d’amore di intimità.  Infatti nei vangeli Dio non dice più, come affermava più volte nell’Antico Testamento o nel Cantico dei Cantici, «Io per voi… Voi per me…», ma «Io in voi e voi in me»: c’è un contatto di intimità sponsale. Soprattutto nel vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi… Rimanete nel mio amore» (Gv 15,4-9); «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola… Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» 

(Gv 17,21-23). Il testo ebraico di Genesi 1,26 letteralmente recita: «Dio creò adam a sua immagine, verso la sua somiglianza lo creò». Essere immagine di Dio è un dono, diventare sua somiglianza è la risposta di adam maschio e femmina al dono ricevuto. Allora tutta l’umanità, in quanto maschio e femmina nell’intimità della relazione, deve tendere verso la somiglianza di Dio. Se leggiamo la Bibbia attraverso questa “chiave della somiglianza”, ci accorgiamo come tantissime volte si parla dell’umana tensione ad imitare il Signore per essere sua somiglianza nella storia. Vi cito a mo’ di esempio tre testi: «Siate santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono Santo» (Lv 11,45); «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5); «Padre, che siano uno come noi…» (Gv 17,22). Vivere l’unità nella relazionalità dei distinti significa tendere verso la somiglianza di Dio: è questa la nostra risposta al Creatore, che ci ha fatti a sua immagine. 

3. Aiuto simile 

Nell’altro racconto della creazione in Genesi 2 leggiamo: 

«Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… ma (l’uomo) non trovò un aiuto che gli fosse simile» (Gen 2,18-20). 

È opportuno intanto precisare che Dio non dice: «Non è bene che l’uomo sia “singolo”»; questa traduzione tradisce la Parola di Dio, distorce e malamente “legge” il significato del termine ebraico, come dirò più avanti. Ecco, Dio scava nell’uomo una sete di comunione, di amore, di incontri, di occhi. Sete di qualcuno che gli sia k'enegdô, di fronte al suo volto, di qualcuno a cui dire: «Veramente tu sei ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gen 2,23). 

Proprio nella sua Parola Dio ci rivela che Lui da solo non basta all’umanità maschio e femmina e che nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo dell’altro/a da sé. Dio solo non basta! Perché la relazione è squilibrata, è dal basso verso l’alto, è sempre un dialogo fra diseguali. Allo stesso modo non basta una relazione dell’uomo dall’alto in basso con gli animali. L’uomo cerca una relazione-aiuto k'enegdô: di fronte al suo volto. 

 E questo perché… «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). In realtà il testo ebraico recita: «Non è bene che l’uomo sia con la sua stessa parte», cioè con l’altro da sé come se stesso. Il termine ebraico l'badô, che in italiano traduciamo «solo», lo troviamo applicato a Giacobbe al guado di Iabbok dopo il sogno della lotta con Dio. Il testo dice: «Si trovò solo nella lotta» (Gen 32,25), ma dovremmo meglio tradurre: «Si trovò appoggiato nella sua stessa parte». Dopo lotta, infatti, Giacobbe si ritrova zoppo perché Dio l’aveva colpito al nervo sciatico. 

Ritroviamo lo stesso termine (l'badô) in Gen 42,38, dopo che i figli di Giacobbe avevano venduto il loro fratello Giuseppe… «Beniamino rimase solo», cioè ripiegato in se stesso, col suo stesso lato. E ancora nel primo Libro dei Re si racconta che Elia, stanco e sfiduciato, per tre volte dichiara: «Sono rimasto solo» (1Re 18,22; 19,10; 19,14), perché è scoraggiato e ripiegato in se stesso. 

Altri due brevi passaggi in questa veloce riflessione. In Genesi 2,18 la donna viene definita ezer k'negdô, in italiano «aiuto simile». Ma in ebraico ezer è un termine che si riferisce a chi sa insegnare la strada e guidare accompagnando. Questa è la donna! Nel libro di Giobbe ezer viene applicato a chi soccorre il povero, l’abbandonato, il misero. E allora, quando Dio vede che l’uomo ripiegato sul suo “stesso lato” è zoppicante, gli crea la donna capace di insegnargli a camminare accompagnandolo, di indicargli la strada e di soccorrerlo. Perché l’uomo è come un povero abbandonato a se stesso. 

Ma c’è di più: nei Salmi (cfr. Sal 118; 119; 121) ezer è Dio stesso: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,1-2). Ecco il compito della donna nei confronti dell’uomo: essere “alterità” che sa accompagnare e indicare la strada… come Dio! La donna permette all’uomo di camminare dritto e spedito, di non essere zoppo e ripiegato sulla sua stessa parte. La donna, come altra da sé, genera nel creato l’alterità nell’unità della relazione dei distinti.

 E per concludere: dopo aver creato la donna, Dio «la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Ma il testo ebraico recita letteralmente: «Dio la fece entrare nell’uomo». Di solito avviene il contrario: è l’uomo ad “entrare” nella donna. Ma la Bibbia dice che la donna viene fatta entrare nell’uomo. Lo stesso concetto con lo stesso verbo ebraico ba’ah lo troviamo altre due volte nell’Antico Testamento. La prima volta quando Labano, zio di Giacobbe, «prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei» (Gen 29,23); la seconda volta in occasione delle nozze di Tobia con Sarah: «Poi Raguele chiamò la moglie Edna e le disse: “Sorella mia, prepara l’altra camera e conducila dentro”. Essa andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia» (Tb 7,15). 

 Ecco il sogno e il progetto di Dio su Adam maschio e femmina: un canto di nuziale amore che consente al puntuto ‘ish (infuocato) di entrare nella svuotata ‘ishah (infuocata): è un fuoco d’amore, è «una fiamma del Signore» (Ct 8,6). Ma questo è possibile solo perché prima Dio ha fatto entrare la donna nel talamo nuziale dell’uomo! Perciò, fin dal principio del progetto di Dio l’uomo e la donna non sono primariamente l’uno per l’altra nella reciprocità, ma l’una nell’altro – e viceversa – nella intimità dell’Amore. E questo è già Vangelo! Genesi 1-2 è l’in principio poi sviluppato e compiuto da Gesù nel vangelo di Giovanni: «Che siano uno perché il mondo creda» (Gv 17,21). 

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