mercoledì 22 agosto 2018

Traduzione errata del NON INDURCI IN TENTAZIONE


Pater - Testo Ebraico
Traduzione



"NON INDURCI " è una traduzione errata del testo, che dal greco significa "NON LASCIARCI TRASCINARE" nella mano del nemico.


per cui NON ABBANDONARCI è  teologicamente più corretto.

lunedì 20 agosto 2018

Lectio biblica su Genesi 1,26-28

MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ
 Lectio biblica su Genesi 1,26-28 
Convegno Nazionale CEI Pastorale Familiare 
Nocera Umbra, 26 aprile 2014 
 Mario Russotto 
Vescovo di Caltanissetta 

Ho scelto di riflettere e meditare insieme a voi su un testo a tutti ben noto e, quindi, so di non avere nulla di nuovo da proporvi. Ma questo è il testo che dà il titolo al nostro convegno e dunque può essere utile tornare a farci illuminare da questi versetti del libro di Genesi. 

1. Maschio e femmina 

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gen 1,26-28). 

Genesi 1,26 recita: «Facciamo adam a nostra immagine e a nostra somiglianza ... e domini sui pesci del mare». Traducendo in italiano il termine Adam con “uomo”, il traduttore ha dovuto mettere il verbo “dominare” al singolare, mentre in ebraico è plurale. E questo perché adam in ebraico è un singolare collettivo, che va meglio tradotto con "umanità"; e questa umanità è duale, è maschio e femmina. E allora dobbiamo letteralmente tradurre così: «Facciamo umanità a nostra immagine e a nostra somiglianza… e dominino…». 

In Genesi 1,27 leggiamo: «Dio creò Adam a sua immagine; a immagine di Dio creò adam, maschio e femmina li creò». Secondo questo primo racconto di Genesi, l’umanità maschio e femmina è il culmine e il capolavoro della creazione, e riceve da Dio il compito di "dominare", cioè di portare a perfezione il creato. Senza umanità maschio e femmina non c’è “cosmo”, non c’è creazione ordinata, perché adam maschio e femmina, che odora di terra e di rosso sangue è “infuocato” (è il significato ebraico di ish-ishah), è custode e liturgo del creato. 

Adam maschio e femmina è selem e demut, che noi traduciamo con “immagine e somiglianza”. Selem e demut in ebraico indicano qualcosa di molto simile all'originale e, nello stesso tempo, assai distante e differente dall’originale. Pensiamo, ad esempio, alla statua del re posta al centro della città perché lo rappresenti. La statua richiama l’immagine del re, ma non è il re! È un po’ come una mia foto: io la guardo e dico: «Questo sono io», ma non intendo dire che io sono un pezzo di carta. Quindi in adam maschio e femmina c’è qualcosa di molto simile a Dio Creatore che, nello stesso tempo, è distinzione e differenza. 

Adam è maschio e femmina, in ebraico zakar e neke bah, termini che letteralmente andrebbero tradotti con “puntuto e svuotata”, oppure “pene e vagina”. L’umanità, dunque, è immagine di Dio in quanto duale. E questa dualità si evidenzia in quanto adam-umanità è puntuto e svuotata. Zakar e neke bah si riferiscono ai genitali che costituiscono e distinguono adam-umanità in maschio e femmina. 

2. A immagine e somiglianza 

Rileggiamo Genesi 1,27: «Dio creò adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Nel progetto di Dio adam-umanità non è pensata a sé stante, chiusa nella solitarietà della mascolinità o della femminilità. Difatti anche Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem ha scritto: «L’uomo in sé non è l’umanità perché l’uomo si costituisce tale solo dinanzi al “tu” della donna, che è l’altro “io” nella comune umanità» (MD, n. 6). Quindi nessun essere umano in sé è “umanità” se non nella relazione con l’altro - da sé: questa è la vocazione originaria dell’uomo e della donna. Pertanto, possiamo sinteticamente affermare che l’identità e il fine di adam maschio e femmina è l’amore come relazione.

Sì, la vocazione originaria e originante, inscritta da Dio in adam maschio e femmina, è la relazione, cioè l’essere dono per l’altro/a da sé. E precisamente: il “puntuto” per la “svuotata” e viceversa. Essere immagine di Dio è un dono esclusivo del Creatore all’adam maschio e femmina. Nessun altro essere nel cosmo è creato a immagine di Dio. Ciò che rende adam immagine di Dio non è l’intelligenza, né l’anima, ma -a relazione nella distinzione maschio e femmina, cioè l’alterità relazionale nella comune umanità, quale compatibilità accogliente nell’irriducibile incompatibilità di due differenti unicità. La Bibbia, dunque, con immagini semplici ci dice che se noi adam maschio e femmina possiamo vivere il dono di essere immagine di Dio, è perché siamo fisicamente complementari nell’irriducibile incompatibilità. 

Insegnava ancora Giovanni Paolo II: «Nell'unità dei due l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere "uno accanto all'altra" oppure "insieme", ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altra... Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale» (MD, n. 7). Ma mi permetto di affermare che alla luce della pienezza della Rivelazione in Cristo Gesù c’è molto di più. L’Antico Testamento e lo stesso Cantico dei Cantici sono superati o, meglio, portati a pienezza. Essere l’uno per l’altra nel contratto d’amore di reciprocità cede il passo all’essere l’uno nell’altra nel contatto d’amore di intimità.  Infatti nei vangeli Dio non dice più, come affermava più volte nell’Antico Testamento o nel Cantico dei Cantici, «Io per voi… Voi per me…», ma «Io in voi e voi in me»: c’è un contatto di intimità sponsale. Soprattutto nel vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi… Rimanete nel mio amore» (Gv 15,4-9); «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola… Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» 

(Gv 17,21-23). Il testo ebraico di Genesi 1,26 letteralmente recita: «Dio creò adam a sua immagine, verso la sua somiglianza lo creò». Essere immagine di Dio è un dono, diventare sua somiglianza è la risposta di adam maschio e femmina al dono ricevuto. Allora tutta l’umanità, in quanto maschio e femmina nell’intimità della relazione, deve tendere verso la somiglianza di Dio. Se leggiamo la Bibbia attraverso questa “chiave della somiglianza”, ci accorgiamo come tantissime volte si parla dell’umana tensione ad imitare il Signore per essere sua somiglianza nella storia. Vi cito a mo’ di esempio tre testi: «Siate santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono Santo» (Lv 11,45); «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5); «Padre, che siano uno come noi…» (Gv 17,22). Vivere l’unità nella relazionalità dei distinti significa tendere verso la somiglianza di Dio: è questa la nostra risposta al Creatore, che ci ha fatti a sua immagine. 

3. Aiuto simile 

Nell’altro racconto della creazione in Genesi 2 leggiamo: 

«Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… ma (l’uomo) non trovò un aiuto che gli fosse simile» (Gen 2,18-20). 

È opportuno intanto precisare che Dio non dice: «Non è bene che l’uomo sia “singolo”»; questa traduzione tradisce la Parola di Dio, distorce e malamente “legge” il significato del termine ebraico, come dirò più avanti. Ecco, Dio scava nell’uomo una sete di comunione, di amore, di incontri, di occhi. Sete di qualcuno che gli sia k'enegdô, di fronte al suo volto, di qualcuno a cui dire: «Veramente tu sei ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gen 2,23). 

Proprio nella sua Parola Dio ci rivela che Lui da solo non basta all’umanità maschio e femmina e che nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo dell’altro/a da sé. Dio solo non basta! Perché la relazione è squilibrata, è dal basso verso l’alto, è sempre un dialogo fra diseguali. Allo stesso modo non basta una relazione dell’uomo dall’alto in basso con gli animali. L’uomo cerca una relazione-aiuto k'enegdô: di fronte al suo volto. 

 E questo perché… «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). In realtà il testo ebraico recita: «Non è bene che l’uomo sia con la sua stessa parte», cioè con l’altro da sé come se stesso. Il termine ebraico l'badô, che in italiano traduciamo «solo», lo troviamo applicato a Giacobbe al guado di Iabbok dopo il sogno della lotta con Dio. Il testo dice: «Si trovò solo nella lotta» (Gen 32,25), ma dovremmo meglio tradurre: «Si trovò appoggiato nella sua stessa parte». Dopo lotta, infatti, Giacobbe si ritrova zoppo perché Dio l’aveva colpito al nervo sciatico. 

Ritroviamo lo stesso termine (l'badô) in Gen 42,38, dopo che i figli di Giacobbe avevano venduto il loro fratello Giuseppe… «Beniamino rimase solo», cioè ripiegato in se stesso, col suo stesso lato. E ancora nel primo Libro dei Re si racconta che Elia, stanco e sfiduciato, per tre volte dichiara: «Sono rimasto solo» (1Re 18,22; 19,10; 19,14), perché è scoraggiato e ripiegato in se stesso. 

Altri due brevi passaggi in questa veloce riflessione. In Genesi 2,18 la donna viene definita ezer k'negdô, in italiano «aiuto simile». Ma in ebraico ezer è un termine che si riferisce a chi sa insegnare la strada e guidare accompagnando. Questa è la donna! Nel libro di Giobbe ezer viene applicato a chi soccorre il povero, l’abbandonato, il misero. E allora, quando Dio vede che l’uomo ripiegato sul suo “stesso lato” è zoppicante, gli crea la donna capace di insegnargli a camminare accompagnandolo, di indicargli la strada e di soccorrerlo. Perché l’uomo è come un povero abbandonato a se stesso. 

Ma c’è di più: nei Salmi (cfr. Sal 118; 119; 121) ezer è Dio stesso: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,1-2). Ecco il compito della donna nei confronti dell’uomo: essere “alterità” che sa accompagnare e indicare la strada… come Dio! La donna permette all’uomo di camminare dritto e spedito, di non essere zoppo e ripiegato sulla sua stessa parte. La donna, come altra da sé, genera nel creato l’alterità nell’unità della relazione dei distinti.

 E per concludere: dopo aver creato la donna, Dio «la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Ma il testo ebraico recita letteralmente: «Dio la fece entrare nell’uomo». Di solito avviene il contrario: è l’uomo ad “entrare” nella donna. Ma la Bibbia dice che la donna viene fatta entrare nell’uomo. Lo stesso concetto con lo stesso verbo ebraico ba’ah lo troviamo altre due volte nell’Antico Testamento. La prima volta quando Labano, zio di Giacobbe, «prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei» (Gen 29,23); la seconda volta in occasione delle nozze di Tobia con Sarah: «Poi Raguele chiamò la moglie Edna e le disse: “Sorella mia, prepara l’altra camera e conducila dentro”. Essa andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia» (Tb 7,15). 

 Ecco il sogno e il progetto di Dio su Adam maschio e femmina: un canto di nuziale amore che consente al puntuto ‘ish (infuocato) di entrare nella svuotata ‘ishah (infuocata): è un fuoco d’amore, è «una fiamma del Signore» (Ct 8,6). Ma questo è possibile solo perché prima Dio ha fatto entrare la donna nel talamo nuziale dell’uomo! Perciò, fin dal principio del progetto di Dio l’uomo e la donna non sono primariamente l’uno per l’altra nella reciprocità, ma l’una nell’altro – e viceversa – nella intimità dell’Amore. E questo è già Vangelo! Genesi 1-2 è l’in principio poi sviluppato e compiuto da Gesù nel vangelo di Giovanni: «Che siano uno perché il mondo creda» (Gv 17,21). 
MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ 
Lectio biblica su Genesi 1,26-28 
Convegno Nazionale CEI Pastorale Familiare
 Nocera Umbra, 26 aprile 2014 
 Mario Russotto 
Vescovo di Caltanissetta 

Ho scelto di riflettere e meditare insieme a voi su un testo a tutti ben noto e, quindi, so di non avere nulla di nuovo da proporvi. Ma questo è il testo che dà il titolo al nostro convegno e dunque può essere utile tornare a farci illuminare da questi versetti del libro di Genesi. 
1. Maschio e femmina 
«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gen 1,26-28). Genesi 

1,26 recita: «Facciamo adam a nostra immagine e a nostra somiglianza ... e domini sui pesci del mare». Traducendo in italiano il termine Adam 2 ad esempio, alla statua del re posta al centro della città perché lo rappresenti. La statua richiama l’immagine del re, ma non è il re! È un po’ come una mia foto: io la guardo e dico: «Questo sono io», ma non intendo dire che io sono un pezzo di carta. Quindi in adam maschio e femmina c’è qualcosa di molto simile a Dio Creatore che, nello stesso tempo, è distinzione e differenza. Adam è maschio e femmina, in ebraico zakar e neke bah, termini che letteralmente andrebbero tradotti con “puntuto e svuotata”, oppure “pene e vagina”. L’umanità, dunque, è immagine di Dio in quanto duale. E questa dualità si evidenzia in quanto adam-umanità è puntuto e svuotata. Zakar e neke bah si riferiscono ai genitali che costituiscono e distinguono adam-umanità in maschio e femmina. 2. A immagine e somiglianza Rileggiamo 

Genesi 1,27: «Dio creò adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Nel progetto di Dio adam-umanità non è pensata a sé stante, chiusa nella solitarietà della mascolinità o della femminilità. Difatti anche Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem ha scritto: «L’uomo in sé non è l’umanità perché l’uomo si costituisce tale solo dinanzi al “tu” della donna, che è l’altro “io” nella comune umanità» (MD, n. 6). Quindi nessun essere umano in sé è “umanità” se non nella relazione con l’altro da sé: questa è la vocazione originaria dell’uomo e della donna. Pertanto, possiamo sinteticamente affermare che l’identità e il fine di adam maschio e femmina è l’amore come relazione. Sì, la vocazione originaria e originante, inscritta da Dio in adam maschio e femmina, è la relazione, cioè l’essere dono per l’altro/a da sé. E precisamente: il “puntuto” per la “svuotata” e viceversa. Essere immagine di Dio è un dono esclusivo del Creatore all’adam maschio e femmina. Nessun altro essere nel cosmo è creato a immagine di Dio. Ciò che rende adam immagine di Dio non è l’intelligenza, né l’anima, ma la relazione nella distinzione maschio e femmina, cioè l’alterità relazionale nella comune umanità, quale compatibilità accogliente nell’irriducibile incompatibilità di due differenti unicità. La Bibbia, dunque, con immagini semplici ci dice che se noi adam maschio e femmina possiamo vivere il dono di essere immagine di Dio, è perché siamo fisicamente complementari nell’irriducibile incompatibilità. Insegnava ancora Giovanni Paolo II: «Nell'unità dei due l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere "uno accanto all'altra" oppure "insieme", ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente l'uno per l'altra... Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale» (MD, n. 7). Ma mi permetto di affermare che alla luce della pienezza della Rivelazione in Cristo Gesù c’è molto di più. L’Antico Testamento e lo stesso Cantico dei Cantici sono superati o, meglio, portati a pienezza. Essere l’uno per l’altra nel contratto d’amore di reciprocità cede il passo all’essere l’uno nell’altra nel contatto d’amore di intimità. 3 Infatti nei vangeli Dio non dice più, come affermava più volte nell’Antico Testamento o nel Cantico dei Cantici, «Io per voi… Voi per me…», ma «Io in voi e voi in me»: c’è un contatto di intimità sponsale. Soprattutto in nel vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi… Rimanete nel mio amore» (Gv 15,4-9); «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola… Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,21-23). Il testo ebraico di Genesi 1,26 letteralmente recita: «Dio creò adam a sua immagine, verso la sua somiglianza lo creò». Essere immagine di Dio è un dono, diventare sua somiglianza è la risposta di adam maschio e femmina al dono ricevuto. Allora tutta l’umanità, in quanto maschio e femmina nell’intimità della relazione, deve tendere verso la somiglianza di Dio. Se leggiamo la Bibbia attraverso questa “chiave della somiglianza”, ci accorgiamo come tantissime volte si parla dell’umana tensione ad imitare il Signore per essere sua somiglianza nella storia. Vi cito a mo’ di esempio tre testi: «Siate santi perché Io, il Signore vostro Dio, sono Santo» (Lv 11,45); «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5); «Padre, che siano uno come noi…» (Gv 17,22). Vivere l’unità nella relazionalità dei distinti significa tendere verso la somiglianza di Dio: è questa la nostra risposta al Creatore, che ci ha fatti a sua immagine. 3. Aiuto simile Nell’altro racconto della creazione in Genesi 2 leggiamo: «Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… ma (l’uomo) non trovò un aiuto che gli fosse simile» (Gen 2,18-20). È opportuno intanto precisare che Dio non dice: «Non è bene che l’uomo sia “singolo”»; questa traduzione tradisce la Parola di Dio, distorce e malamente “legge” il significato del termine ebraico, come dirò più avanti. Ecco, Dio scava nell’uomo una sete di comunione, di amore, di incontri, di occhi. Sete di qualcuno che gli sia k e negdô, di fronte al suo volto, di qualcuno a cui dire: «Veramente tu sei ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gen 2,23). Proprio nella sua Parola Dio ci rivela che Lui da solo non basta all’umanità maschio e femmina e che nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo dell’altro/a da sé. Dio solo non basta! Perché la relazione è squilibrata, è dal basso verso l’alto, è sempre un dialogo fra diseguali. Allo stesso modo non basta una relazione dell’uomo dall’alto in basso con gli animali. L’uomo cerca una relazione-aiuto k e negdô: di fronte al suo volto. 4 E questo perché… «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). In realtà il testo ebraico recita: «Non è bene che l’uomo sia con la sua stessa parte», cioè con l’altro da sé come se stesso. Il termine ebraico l e badô, che in italiano traduciamo «solo», lo troviamo applicato a Giacobbe al guado di Iabbok dopo il sogno della lotta con Dio. Il testo dice: «Si trovò solo nella lotta» (Gen 32,25), ma dovremmo meglio tradurre: «Si trovò appoggiato nella sua stessa parte». Dopo lotta, infatti, Giacobbe si ritrova zoppo perché Dio l’aveva colpito al nervo sciatico. Ritroviamo lo stesso termine (l e badô) in Gen 42,38, dopo che i figli di Giacobbe avevano venduto il loro fratello Giuseppe… «Beniamino rimase solo», cioè ripiegato in se stesso, col suo stesso lato. E ancora nel primo Libro dei Re si racconta che Elia, stanco e sfiduciato, per tre volte dichiara: «Sono rimasto solo» (1Re 18,22; 19,10; 19,14), perché è scoraggiato e ripiegato in se stesso. Altri due brevi passaggi in questa veloce riflessione. In Genesi 2,18 la donna viene definita ezer ke negdô, in italiano «aiuto simile». Ma in ebraico ezer è un termine che si riferiscw a chi sa insegnare la strada e guidare accompagnando. Questa è la donna! Nel libro di Giobbe ezer viene applicato a chi soccorre il povero, l’abbandonato, il misero. E allora, quando Dio vede che l’uomo ripiegato sul suo “stesso lato” è zoppicante, gli crea la donna capace di insegnargli a camminare accompagnandolo, di indicargli la strada e di soccorrerlo. Perché l’uomo è come un povero abbandonato a se stesso. Ma c’è di più: nei Salmi (cfr. Sal 118; 119; 121) ezer è Dio stesso: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,1-2). Ecco il compito della donna nei confronti dell’uomo: essere “alterità” che sa accompagnare e indicare la strada… come Dio! La donna permette all’uomo di camminare dritto e spedito, di non essere zoppo e ripiegato sulla sua stessa parte. La donna, come altra da sé, genera nel creato l’alterità nell’unità della relazione dei distinti. E per concludere: dopo aver creato la donna, Dio «la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Ma il testo ebraico recita letteralmente: «Dio la fece entrare nell’uomo». Di solito avviene il contrario: è l’uomo ad “entrare” nella donna. Ma la Bibbia dice che la donna viene fatta entrare nell’uomo. Lo stesso concetto con lo stesso verbo ebraico ba’ah lo troviamo altre due volte nell’Antico Testamento. La prima volta quando Labano, zio di Giacobbe, «prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei» (Gen 29,23); la seconda volta in occasione delle nozze di Tobia con Sarah: «Poi Raguele chiamò la moglie Edna e le disse: “Sorella mia, prepara l’altra camera e conducila dentro”. Essa andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia» (Tb 7,15). 5 Ecco il sogno e il progetto di Dio su Adam maschio e femmina: un canto di nuziale amore che consente al puntuto ‘ish (infuocato) di entrare nella svuotata ‘ishah (infuocata): è un fuoco d’amore, è «una fiamma del Signore» (Ct 8,6). Ma questo è possibile solo perché prima Dio ha fatto entrare la donna nel talamo nuziale dell’uomo! Perciò, fin dal principio del progetto di Dio l’uomo e la donna non sono primariamente l’uno per l’altra nella reciprocità, ma l’una nell’altro –e viceversa – nella intimità dell’Amore. E questo è già Vangelo! Genesi 1-2 è l’in principio poi sviluppato e compiuto da Gesù nel vangelo di Giovanni: «Che siano uno perché il mondo creda» (Gv 17,21). 

domenica 19 agosto 2018

non ci abbandonare nella tentazione

(messaggio dal cielo) - 



Cosa chiediamo nella preghiera del padre nostro 

Non ci abbandonare nella tentazione

"si traduce in questo modo perché questo è il senso che più conviene dal punto di vista teologico e pastorale, secondo l’aureo principio dell’analogia fidei."



“sarebbe assurdo chiedere a Dio di dispensarci dalle prove che ci fanno crescere e fortificare nella fede” (p. 254).

Ma l’arbitrarietà è sempre dietro l’angolo: dopo aver ricordato che “la TOB ha provveduto a correggere - dopo parecchie proteste – la prima traduzione, ‘non sottometterci’, con ‘non esporci alla tentazione’”, aggiunge: “Io preciserei ancora: ‘non lasciarci esposti nella tentazione’”.



Naturalmente non si fornisce alcun argomento filologico per motivare la “precisazione”. Supplisce la sollecitudine pastorale:

“I figli ‘esposti’, una volta, erano i bambini che venivano abbandonati alla pietà altrui. Il senso più ovvio della petizione sembra essere proprio questo: chiediamo di non essere lasciati soli”.


Il volume del Pontefice dedicato a “Gesù di Nazaret”; nel quale, sempre per una felicissima combinazione, Benedetto XVI analizza proprio il “Padre nostro”, dedicando alla famigerata “sesta petizione” oltre quattro pagine.

In queste pagine possiamo andare a cercare la risposta – la più autorevole che si possa desiderare – a tutti i nostri dubbi ...

Se tu decidi di sottopormi a queste prove, […] non tracciare troppo ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me


domenica 5 agosto 2018

cos'è il trionfo del cuore immacolato di Maria

messaggio di Dio Padre:

del 04/08/2018

Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria è pertanto questo incontro lungo la Via della Madre, al quale il figlio si accosta. La Madre incontra il nuovo figlio che le è stato affidato ai piedi del Legno*.

 Il corpo mistico di Maria non è un sacerdozio secondo l’ordinamento della legge mosaica (cfr Lv 8-9), ma “secondo l’ordine di Melchisedek”, secondo un ordine profetico, dipendente soltanto dalla sua singolare relazione con Dio[5].


                        per approfondimenti:
L’OFFERTA RIPARATRICE, 
FATTA COL SUO CUORE IMMACOLATO


note : 

* "Il figlio che Le è stato affidato ai piedi del Legno" è il discepolo che Gesù amava .
   Nel vangelo non viene volutamente specificato il nome, in quanto questo discepolo è proposto              come  un modello in tutti i suoi aspetti: affetto e confidenza reciproca,  il quale da Gesù viene                    affiliato a Maria

Tutti dobbiamo diventare uno



messaggio del Eterno Padre




In genesi si legge : 

"all'inizio vi era Dio e la Spirito santo vibrava sulle acque". 
La spirito santo da cui ha origine la vita è il fuoco che attira a se tutte le cose. 

Per questo tutti dobbiamo diventare uno.

venerdì 22 giugno 2018

L'ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE - In alcune chiese l'abominio è già in atto

messaggio dal cielo 22/06/2018

Nelle concelebrazioni ecumeniche già avvenute non c'è Transustanziazione, così come se un sacerdote in comunione con Bergoglio e facente parte della massoneria o eretico non vuole consacrare non consacra.... quindi in alcune chiese l'abominio è già in atto, per cui Don Alessandro ha ragione quando dice di stare attenti

............................................................................................................alcuni chiarimenti sulla validità della consacrazione  

Se il sacerdote non crede nella transustanziazione per ignoranza o perché subisce la pressione dei cosiddetti “teologi”, ma ha nel cuore l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, la S Messa è valida, ma illecita.
Se un sacerdote coscientemente non vuole fare ciò che fa la Chiesa, anche se usa le parole giuste, non c’è la S. Messa......Nelle concelebrazioni ecumeniche già avvenute non c'è Transustanziazione, così come se un sacerdote in comunione con Bergoglio e facente paerte della massoneria o eretico non vuole consacrare non consacra.... quindi in alcune chiese l'abominio è già in atto, per cui Don Alessandro ha ragione quando dice di stare attenti


pur non credendo per "ignoranza" o perchè secondo lui è una cosa improbabile o impossibile ( vedi miracolo di Lanciano), ma lo fa perchè lo fa la chiesa, quindi è in comunione con le intenzioni della chiesa c'è consacrazione....

Per fare degli esempi inerenti alla celebrazione della Messa, per la materia si richiede che ci sia il pane. Questo è ad validitatem.
La Chiesa latina stabilisce però che il pane sia azzimo e cioè non lievitato, perché Cristo ha usato il pane azzimo.
Q
ualora si celebrasse con pane lievitato l’Eucaristia sarebbe valida, ma sarebbe celebrata con una materia illecita, perché proibita dalla Chiesa. Per quanto attiene al ministro della Messa ad validitatem si richiede che sia un sacerdote.Ad liceitatem si richiede che sia anche in grazia di Dio. Sicché qualora un sacerdote celebrasse in peccato mortale consacrerebbe validamente, ma mancando soggettivamente di una disposizione interiore essenziale per la fruttuosità del Sacramento consacrerebbe in maniera illecita. Questa volta l’illiceità è grave perché espone il sacramento alla sua infruttuosità e così il sacerdote compirebbe un sacrilegio


Quindi att.ne, una cosa è il peccato mortale un altra cosa è l'eresia o l'apostasia, nel secondo caso non c'è consacrazione perchè non c'è la volontà di consacrare anche se vengono utilizzate le giuste formule 

Suor Lucia disse che negli ultimi tempi ci sarebbero stati nella chiesa i partigiani del diavolo, usò proprio questa espressione, dunque può un partigiano del diavolo consacrare? La risposta evidentemente è no.... !!!


LA SANTA MESSA - Validità, fruttuosità, liceità





Il Concilio di Trento ha definito in forma definitiva e dogmatica le condizioni per cui la celebrazione di ogni sacramento è valida, facendo propria la dottrina agostiniana della validità (ed efficacia) del sacramento "ex opere operato", cioè per il fatto stesso che un sacramento venga regolarmente celebrato dal ministro competente che abbia l'intenzione di fare "ciò che fa la Chiesa" e con la materia adeguata. Facciamo subito due esempi per capire. Perché una Messa sia valida, occorre che sia celebrata da un sacerdote regolarmente ordinato, che abbia l'intenzione di celebrare veramente (non per scherzo!) secondo il rito della Chiesa cattolica e che usi, come materia, pane azzimo di frumento e vino di pura vite. Similmente si insegnava, almeno prima della riforma liturgica, che, dalla parte del fedele, la partecipazione obbligatoria alla santa Messa si potesse considerare adempiuta se si arrivava al più tardi prima che avesse inizio la liturgia offertoriale. Si capisce che la santità personale del sacerdote, le circostanze soggettive, il modo con cui celebra (fervoroso o distratto, solenne o sciatto) sono del tutto ininfluenti sulla validità della santa Messa (in particolare della consacrazione). Similmente perché una confessione sia valida, deve essere ascoltata da un sacerdote che ne abbia ricevuto facoltà dal vescovo e che pronunci correttamente la formula di assoluzione dopo aver verificato, per quanto può, la possibilità di assolvere il penitente. Così, dalla parte del penitente, perché la confessione sia valida è richiesta la confessione per specie, numero e circostanze dei peccati mortali e quella forma di pentimento, almeno minimale, che è chiamata tecnicamente "attrizione". Se il confessore è un grande peccatore, se i suoi consigli sono inopportuni, se la penitenza che impone è inadeguata, se è scorbutico o insofferente, tutto ciò non influisce minimamente sulla validità del sacramento. Così come è del tutto ininfluente il fatto che un fedele non confessi i peccati veniali o non ne dica il numero o non si esamini sulle imperfezioni etc.
Ad un livello ulteriore, tuttavia, si pongono le condizioni per cui un sacramento è lecitamente amministrato o ricevuto. Ebbene, riprendendo gli esempi precedenti, se un sacerdote celebra Messa in stato di peccato mortale, commette gravissimo peccato (anche se la Messa, comunque, resta valida); se celebra in maniera frettolosa o sciatta, se non fa le genuflessioni o riverenze, commette svariati peccati durante la Messa, ma sempre senza intaccarne la validità. Se un fedele chiacchiera o si distrae durante la Messa, arriva tardi per negligenza e senza una giusta causa, commette peccati, ma non compromette la validità della sua partecipazione. E così via.
La fruttuosità, infine, condiziona il grado di efficacia reale e contingente che i sacramenti esercitano su chi li celebra e su chi li riceve. Un sacramento celebrato senza un minimo di devozione e raccoglimento, frettolosamente e sciattamente, dà ben poca gloria a Dio anzi contribuisce non poco a offenderlo e (secondo il nostro modo di parlare) a indisporlo; conseguentemente, salva la validità e la liceità del sacramento, i frutti che arrecherà in chi lo celebra in questo modo o in chi vi si accosta con queste pessime disposizioni saranno alquanto scarsi. In questo senso, se, da un punto di vista della validità, non c’è nessuna differenza tra la santa Messa celebrata da san Pietro o da Giuda, senz’altro il primo la celebra anche lecitamente, mentre il secondo commette peccato mortale. Se, da un punto di vista della validità e della liceità, la santa Messa celebrata da un santo sacerdote è identica a quella celebrata da un sacerdote tiepido o mediocre, assai diversi però sono i frutti che essa produce. Sentiamolo dalle parole del grande dottore san Tommaso d’Aquino: “Nella Messa si devono considerare due cose: il sacramento stesso, che è la cosa principale e le preghiere che nella Messa vengono fatte per i vivi e per i morti. Ora, quanto al sacramento, la Messa di un sacerdote cattivo non vale meno di quella di uno buono, perché nell’uno e nell’altro caso viene consacrato il medesimo sacramento. Le preghiere invece che vengono fatte, possono essere considerate sotto due aspetti. Primo, in quanto hanno efficacia dalla devozione del sacerdote che prega; e allora non c’è dubbio che la Messa di un sacerdote migliore è più fruttuosa. Secondo, in quanto le preghiere vengono proferite dal sacerdote nella Messa a nome di tutta la Chiesa, della quale il sacerdote è ministro. E questo ministero rimane anche nei peccatori [...]. Tuttavia non sono fruttuose le sue preghiere private, perché secondo le parole dei Proverbi (28,9): Chi volge altrove l’orecchio per non ascoltare la legge, anche la sua preghiera è in abominio” (S. Th. II-II, q. 82, art. 6).


Prima di concludere, qualche breve nota sull’obbligatorietà del precetto domenicale e festivo. Il nuovo Codice di Diritto Canonico afferma che si è giustificati dalla mancata partecipazione alla santa Messa “solo se, per la mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica”, fermo restando che, in questo caso, bisogna rimediare attendendo “per un congruo tempo alla preghiera, personalmente o in famiglia” (CIC, can. 1248). Si parla di “grave causa” che renda “impossibile” la partecipazione, per cui bisogna operare un serio discernimento di coscienza prima di concedersi facili “autoassoluzioni”. Causa grave, per esempio, è senza dubbio la malattia, propria o di un congiunto che richieda l’assistenza personale (non sostituibile e non delegabile); una disgrazia o un avvenimento imprevisto e imprevedibile (un incidente, un ricovero improvviso di un congiunto); qualche altra evenienza non ponderabile che renda realmente impossibile la partecipazione. In Italia bisogna ricordare che abbiamo ancora la grazia di molte celebrazioni domenicali e prefestive (che, si ricordi, in caso di necessità, si considerano come valido adempimento del precetto), per cui le fattispecie di vera e propria impossibilità sono inevitabilmente assai ristrette. Infine, anche nel nuovo Codice è confermato il potere del Parroco di dispensare (ovviamente per giuste e cause gravi) dall’obbligo di osservare il giorno festivo, così come dai giorni di penitenza (CIC, can. 1245); per cui, nei casi dubbi, è bene ricorrere al suo consiglio e alla sua autorità.
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DAL LIBRO DELLA VERITA' - Mercoledì, 27 febbraio 2013, alle ore 15:30

Mia amatissima figlia, le Messe quotidiane continueranno per un certo periodo tempo ed Io raccomando a tutti i Miei seguaci di continuare a frequentarle, come prima.

La Mia Santa Eucaristia deve ancora essere ricevuta da voi. Non dovete interrompere il vostro Sacrificio quotidiano, poiché non sarete voi ad essere costretti a prendere questa decisione. Verrà dichiarato di adattarsi ad un diverso genere di sacrificio a Dio e voi discernerete, all’istante, quando ciò succederà, perché la pratica della Santa Messa sarà arrestata dal falso profeta. Al posto della Santa Messa vi sarà un mondiale, rituale pagano e voi, Miei cari seguaci, benedetti con il Dono dello Spirito Santo lo riconoscerete, per quello che sarà.

Non dovete mai e poi mai abbandonare la Chiesa che Io ho dato al mondo, la quale è fondata sui Miei insegnamenti, ed il sacrificio della Mia morte sulla Croce, presentati a voi assieme ai Doni più Sacri.

Voi, Miei amati seguaci, siete la Mia Chiesa. I Miei amati sacerdoti ed il clero, benedetti con il Dono dello Spirito Santo, non Mi abbandoneranno mai. Né, essi vi abbandoneranno. E così, la Mia Chiesa continuerà a vivere, poiché non potrà mai morire. La Chiesa è il Mio Corpo sulla Terra, e di conseguenza, non potrà mai essere distrutta. Eppure sarà schiacciata, tormentata, abbandonata e poi lasciata nella desolazione a morire. Sebbene, da parte dei Miei nemici, venga compiuto ogni sforzo per distruggerla fino all’ultimo brandello di vita, la Mia Chiesa risorgerà di nuovo. Ricordate, malgrado tutto, essa non morirà mai, anche se potrebbe sembrare il contrario.

Le dimensioni della Mia Chiesa sulla Terra saranno ridotte ed essa diventerà, senza averne colpa, l’Esercito Rimanente.

Il Mio Vero Vicario, estromesso, lotterà al meglio delle sue capacità per condurre i figli di Dio. Sarò Io, Gesù Cristo, a guidarvi, sollevarvi e liberarvi dal male, che sarà imposto su di voi; un male, che giungerà ad una repentina e terribile fine, per tutti coloro che si schiereranno con l’anticristo ed suoi schiavi.

Il vostro Gesù